Ho vissuto momenti molto intensi, anche negativi, ma queste sensazioni hanno alimentato la voglia di portare avanti il mio progetto.
Un dialogo con Mattia Marzorati
Nel 2019 Mattia Marzorati inizia un progetto dal titolo La terra dei buchi, in cui indaga il territorio bresciano focalizzando la sua attenzione sull’inquinamento dell’area. Utilizzando la fotografia come strumento di indagine sociale, Mattia documenta una tematica poco nota e quasi per nulla raccontata dai principali media nazionali: Brescia è una delle province più contaminate d’Italia.
Il progetto vince nel 2020 la terza edizione di Slideluck Editorial e nel 2021 il RESET – Sistema Festival Fotografia.
Mattia è uno degli autori segnalati alla XVII edizione del Premio Amilcare G. Ponchielli.
Ricordo ancora una recita alle elementari dove io e i miei compagni, vestiti da sacchetto dell’immondizia, protestavamo contro l’inquinamento. Oppure il marito di mia madre che, sempre in quel periodo (erano gli anni ’90), manifestava con grandi cartelli contro gli inceneritori. E intanto intorno a noi spuntavano, giorno dopo giorno, decine e decine di capannoni, industrie, fabbriche: innumerevoli cubi grigi di cemento.
Gli anni passano e il consumo di suolo non si ferma. Enormi porzioni di aree agricole continuano, senza tregua, a lasciare spazio alla cementificazione.
È la provincia, anzi la Bassa: Bergamasca per me e Brianza Comasca per Mattia Marzorati. Ed è forse proprio questa provenienza a renderci sensibili nei confronti di tematiche come il territorio e che ci spinge a denunciare per immagini quello che vediamo accadere attorno a noi.
Nel 2014, quando ancora fotografavo, io e Andrea Mariani documentammo la costruzione della TEEM e della BreBeMi: interminabili infrastrutture che squarciano il paesaggio deturpandolo.
Mattia invece dal 2019 indaga una situazione poco raccontata dai principali media nazionali: le disastrose conseguenze del profitto a discapito dell’ambiente e della salute pubblica nel bresciano. La contaminazione da PCB, l’incidenza di tumori e la concentrazione di discariche, siti radioattivi e allevamenti intensivi, fanno di Brescia una delle province più critiche nel Nord Italia.
Non è un caso che la Pianura Padana sia una delle zone più inquinate d’Europa. Ed è proprio l’inquinamento il fulcro de La terra dei buchi.
Qual è la ragione che ti ha spinto ad indagare e documentare l’inquinamento nella provincia di Brescia?
Il mio interesse verso le tematiche ambientali nasce fra il 2015 e il 2016 quando ho prestato servizio civile in Perù, nella città di Cajamarca. Per un anno ho vissuto in una zona fortemente coinvolta in un conflitto socio-ambientale causato dall’attività estrattiva di oro. Dopo aver quindi lavorato all’estero, nel 2019 ho deciso di iniziare un progetto in Italia e, leggendo diversi studi, ho notato che a Brescia la situazione dell’inquinamento è davvero drammatica. Mi è sembrato interessante concentrarmi su un’area del Nord Italia, in quanto l’attenzione mediatica rispetto a questi argomenti è generalmente molto bassa e le persone sono scarsamente informate.
La terra dei buchi. Perché questo titolo?
L’espressione è stata coniata da alcune attiviste dopo aver sorvolato in aereo la zona estrattiva della Bassa Bresciana. Il territorio è completamente devastato dalle cave di ghiaia e di sabbia che costituiscono una delle attività più redditizie. Questi crateri hanno incentivato il business dei rifiuti, dal momento che, negli anni, le cave sono state convertite in discariche. Oggi nella provincia c’è il 20% di tutti i rifiuti d’Italia. Inoltre il rimando alla terra dei fuochi è evidente; anche a Brescia il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti sono una piaga con cui i cittadini convivono da decenni, eppure se ne parla molto poco.
Hai iniziato il tuo progetto nel 2019. In questi tre anni che difficoltà hai trovato nella sua realizzazione? C’è stato un momento in cui ti sei detto “basta, non voglio più continuare”?
Le difficoltà maggiori credo siano state quelle economiche. Ho deciso di realizzare interamente il reportage in analogico e questo comporta dei costi decisamente alti. In più, ogni trasferta a Brescia (io abito a Cantù) costa 40 euro fra benzina e caselli. Supportare queste spese nell’arco di tre anni, in modo costante, non è stato semplice.
Da un punto di vista emotivo invece, ho vissuto momenti molto intensi, anche negativi, ma queste sensazioni hanno alimentato la mia voglia di portare avanti il progetto.
La fotografia di paesaggio si alterna a una serie di ritratti. Come sei entrato in contatto con le persone che hai fotografato? Come hai conosciuto le loro storie?
Durante i primi mesi di lavoro sono entrato in contatto con numerosi gruppi ambientalisti locali. Purtroppo in molti hanno vissuto in prima persona esperienze drammatiche come la perdita di un loro caro a causa dell’inquinamento, che li hanno poi spinti ad agire attivamente per cercare un cambiamento. Altre persone invece le ho conosciute semplicemente trascorrendo molto tempo sul territorio, altre ancora facendo ricerca su temi specifici, come quello della salute pubblica. Credo che la lentezza con cui ho approcciato questo lavoro mi abbia permesso di entrare nelle case delle persone in modo rispettoso e abbia facilitato il dialogo.
Pensi che il tuo progetto oltre a testimoniare una criticità, possa in qualche modo essere uno strumento utile per innescare un cambiamento? In che modo?
Sicuramente la speranza di un cambiamento è alla base di tutto questo sforzo. Penso che documentare e agevolare la consapevolezza rispetto alle problematiche che ci circondano sia un passaggio fondamentale per poter avere una cittadinanza attiva.
Il potere reale dei media è evidente, oggi più che mai. Purtroppo ce ne accorgiamo quando innesca invece delle dinamiche negative nella società, ma sono convinto che sia possibile anche un utilizzo virtuoso di questo potere.
Ho avuto la fortuna di presentare il mio lavoro in diverse occasioni nell’ultimo anno e il riscontro che ho avuto dalle persone con cui ho parlato mi ha sempre dato grande fiducia, specialmente con i più giovani.
È di poche settimane fa l’uscita del tuo libro La terra dei buchi, edito da seipersei. Consideri il tuo lavoro concluso?
Il fatto di aver raccolto il lavoro degli ultimi anni in un libro crea un prima e un dopo a livello progettuale. So che farò altre fotografie e continuerò a essere attento a quello che succede nel bresciano, ma per ora ritengo buona parte del lavoro conclusa.
Il bello di lavorare per molto tempo in una stessa zona sono le amicizie che si creano, a prescindere dalla “necessità” di fotografare. Per questo ora ho un legame molto forte con Brescia.
Progetti futuri?
Fra poco inizierò un nuovo progetto in Colombia sempre incentrato su tematiche ambientali.
Tutte le immagini © Mattia Marzorati